Il seguente testo è tratto dalla postfazione del mio saggio Apollo 20. La rivelazione, che ho pubblicato anni fa con la società americana Lulu Press, Inc., la quale consente ai propri Autori di dare alle stampe volumi e testi con il sito Lulu.com. Mi è sembrato ora doveroso condividere con i navigatori della Rete che non sono soliti leggere libri o non ne hanno il tempo, alcune mie riflessioni ed approfondimenti sul controverso caso Apollo 20. Tali mie riflessioni si concentrano soprattutto sull'incredibile conoscenza tecnica, storica e terminologica - anche in riferimento alla mappatura lunare - che hanno dimostrato gli insiders del caso Apollo 20. Soprattutto il primo - alias "retiredafb", dichiarato Comandante di Apollo 20 (missione spaziale sotto l'egida militare USA-URSS ufficialmente mai avvenuta, e che avrebbe avuto luogo nell'agosto 1976), il quale sin da subito ha citato precise espressioni scientifiche che caratterizzano i crateri della Luna. Il cosiddetto Comandante di Apollo 20 - dichiaratosi tale "William Rutledge" - ha anche dimostrato una padronanza di concetti tecnici specifici e propri della terminologia radio del programma spaziale Apollo. Qui di seguito il lettore troverà la mia riflessione anche sull'aneddoto relativo alla bandiera di Apollo 17, raccontato da "retiredafb" nel 2007 come prova della sua identità e della credibilità della storia stessa. Essendo io l'unico detentore dei diritti d'Autore del libro, do il mio permesso di copiare sui propri supporti informatici il seguente testo, esclusivamente per uso personale e di studio. Ovviamente sono consentiti la libera citazione in articoli e libri di passi del testo per motivi di critica e discussione. Il testo e le figure sono a mia firma (Copyright Luca Scantamburlo).
Buona lettura a tutti.
Luca Scantamburlo, 21 luglio 2012
dal saggio
Apollo 20. La rivelazione
di Luca Scantamburlo
2010, Lulu.com, Lulu Press, Inc., USA
POSTFAZIONE
Parte prima
DALLA SCOPERTA DELLA "CITY" ALL'INDIVIDUAZIONE DEL
VEICOLO TRIANGOLARE
Sul secondo cratere - Izsak Y - non mi sono mai soffermato nei miei precedenti testi per la carta stampata ed il Web. La motivazione è la seguente: tutto il caso è talmente denso di significati più o meno celati, e narrato con tale dovizia di particolari tecnici, che la cosa mi è sembrata inizialmente di secondaria importanza, o comunque non affrontabile senza le adeguate competenze. Lasciai il cratere Izsak Y ai margini della discussione anche per una mia errata valutazione: credevo che fosse stato un refuso del primo insider, un semplice errore di battitura sulla tastiera del computer, quando l'attenzione era tutta spostata sul cratere Izsak D. Col senno di poi, il dettaglio assume tutta'altra valenza.
Solo dopo aver pubblicato questo mio lavoro saggistico sono giunto a risolvere la presenza delle lettere maiuscole romane - la "D" e la "Y" usate da Rutledge. Dimostrare che il loro uso è in accordo con la nomenclatura ufficiale della topografia lunare - una questione decisamente da addetti ai lavori - sarebbe un ulteriore passo in avanti che dimostrerebbe indirettamente che questo dichiarato William Rutledge potrebbe realmente essere un ex astronauta, o comunque un individuo profondamente addentro a questioni astronautiche e militari coperte dalla massima segretezza (in tal caso le missioni Apollo 19 e 20).
Ebbene, dopo una lunga ricerca mi sono imbattuto in due testi scritti da addetti ai lavori della comunità scientifica che confermano ancora una volta quanto profonda sia la conoscenza di William Rutledge in merito alla Luna ed al programma spaziale Apollo. Qualcosa che - insieme al materiale video, all'intervista rilasciata ed ai dettagli di tutto il contesto in cui è inserita la complessa vicenda - non è lontanamente né pensabile né alla portata di un semplice buontempone in vena di scherzi che voglia orchestrare una colossale burla. Ma soprattutto: "cui bono" un tale dispendio di energie, mezzi e tempo per studiare? Cioè a vantaggio di chi?
I due testi dove ho trovato i riferimenti a cui alludo sono a firma di Ewen A. Whitaker - astronomo di origine britannica, già coinvolto in missioni NASA e massimo conoscitore della nomenclatura lunare - e di Eugene F. Kranz, già Assistente del Direttore di volo per il Progetto Mercury, e successivamente Direttore di Volo per il programma Apollo. Rispettivamente si tratta dei volumi Mapping and Naming the Moon, e Failure Is Not an Option.
Lato lontano della Luna: crateri patronimici e satellite
Per anni ho pensato che il cratere "Izsak D" a cui si riferiva Rutledge fosse il cratere a forma di otto immediatamente a sud dell'oggetto fusiforme, principale oggetto di discussione della vicenda (si veda la figura A). Pur usando prudentemente nei miei articoli e nelle mie relazioni pubbliche avverbi di dubbio come "forse" e "probabilmente" che lasciavano aperta la possibilità di un mio errore di interpretazione, ero abbastanza sicuro al riguardo. Ed invece - con mia sorpresa ma anche emozione - ho trovato finalmente il criterio con il quale in passato sono stati battezzati i nomi dei crateri minori del lato lontano della Luna, un criterio che sembrerebbe correggere la mia interpretazione, e rispondere positivamente al contesto delineato dal primo insider del caso Apollo 20, letto nei suoi dettagli più piccoli.
L'uso delle lettere maiuscole romane - indicato da Rutledge - sembra coerente con tale criterio: mi sfuggiva tuttavia il principio seguito da coloro che fissarono la nomenclatura. Tuttavia W. Rutledge - ed anche "moonwalker1966delta" poi, con la diffusione del video APOLLO20 EVA2 ON THE WAY TO THE MOTHERSHIP - ci avevano dato alcuni indizi sia nei commenti ai video, sia nell'intervista: Rutledge aveva parlato di una discesa sul cratere "Izsak Y" durante il sorvolo da parte del modulo lunare "Fenice" (ultima rivoluzione prima della discesa), e del cratere "Izsak D" nei pressi della cosiddetta "City", programmata come "Stazione 1" sulla Terra. Se l'attività extraveicolare numero 2 (l'EVA 2) conduceva all'astronave madre, è evidente che quest'ultima sarà stata il target della "Stazione 2": infatti a conferma di ciò abbiamo le stesse parole di "retiredafb", scritte nella primavera 2007 presso il suo profilo di YouTube (primo aprile 2007), e dunque la zona di allunaggio fu verosimilmente scelta nei pressi del cratere "Izsak D", da dove poi furono trasmesse le riprese della "City" ("Città") e della struttura chiamata "La Cattedrale", attraverso le telecamere del rover lunare.
Ovvio il fatto che la falsità del video della "City" - ampiamente dimostrata - non implica la non esistenza di una "City" in rovina, che potrebbe esistere ugualmente a dispetto della manipolazione del video.
Rutledge nella mia intervista ci racconta che il programma di esplorazione di Apollo 20 era diverso da quello di Apollo 19, nonostante obbiettivi e luogo di allunaggio fossero gli stessi (si veda la risposta alla domanda numero 12 dell'intervista).
Ed infatti, Rutledge parla di 4 EVA, mentre diversi mesi dopo l'uscita di scena del Comandante dell'Apollo 20, si è fatto avanti un utente di Revver.com - tale "allojz1986" in probabile contatto con "moonwalker1966delta" - il quale ha parlato di 6 EVA per la precedente missione Apollo 19, poi fallita: fra gli obbiettivi, l'astronave madre, la città e la base a Sudovest del cratere Delporte. Dunque la cosiddetta "City" e la "base" sarebbero due distinte strutture, situate su siti lunari diversi, anche se forse non molto distanti.
Come sito di allunaggio del lander lunare "Phoenix" di Apollo 20, la fonte ha parlato di un punto a Sud del cratere "Izsak D". Ripeto che stando alle informazioni da me raccolte e confrontate, l'allunaggio per entrambe le missioni sarebbe stato il medesimo: nei pressi del cratere "Izsak D", che Rutledge indicava nel suo profilo di YouTube come la destinazione della missione Apollo 20: "southwest of Delporte crater", cioè a sudovest del cratere Delporte, tuttavia senza aggiungere ulteriori informazioni (come la distanza da Delporte, le coordinate lunari, il diametro del cratere ecc.)
Se osserviamo una qualunque mappa lunare del lato lontano della Luna, il primo cratere di una certa evidenza a sudovest del cratere Delporte è a mio avviso quello evidenziato in figura B, a forma di otto (bozzetto di mappa lunare, seconda ipotesi).
Potrebbe essere questo il cratere "Izsak D"? La sua posizione non sembra molto coerente con il criterio usato per le cosiddette caratteristiche satellite (satellite features) dei crateri lunari.
Per capire cosa sono questi crateri "satelliti" minori, situati nei pressi di crateri lunari noti e riconosciuti ufficialmente con nome, si può consultare l'ottimo volume Mapping and Naming the Moon. A History of Lunar Cartography and Nomenclature, a firma del già citato Whitaker e per i tipi della Cambridge University Press (1999). Di tale testo, che io sappia, non esiste ancora una traduzione in lingua italiana. Leggendo il capitolo 7 veniamo ad apprendere che l'uso delle lettere romane maiuscole accanto al nome di un cratere già denominato, fu introdotto dall'astronomo Johann Heinrich Mädler (1794-1874), che in tal modo trovò un sistema per designare le caratteristiche sussidiarie, cioè di contorno, dei crateri già catalogati: in parole povere, i crateri più piccoli negli immediati paraggi dei crateri con nome, trovavano così una catalogazione sistematica.
Per quanto concerne i crateri del lato lontano della Luna, dobbiamo fare riferimento al capitolo 11 - intitolato Planets and Satellites Set the Rules - in cui si ricorda la storia della nomenclatura delle caratteristiche dei corpi celesti: si va dall'istituzione all'interno della comunità astronomica del WGPSN - il Working Group for Planetary System Nomenclature nato per coordinare i diversi gruppi di ricerca - all'anno 1995, in cui fu pubblicato la Gazetteer of Planetary Nomenclature, una sorta di dizionario geografico della nomenclatura planetaria, che contiene tutti i nomi riconosciuti dal Congresso Generale dell'Unione Astronomica Internazionale (anno 1994).
Il paragrafo Letters for Farside Craters? del saggio di Whitaker si occupa del problema dei crateri del lato lontano della Luna, e della loro denominazione: alcuni di essi sono unici e degni di investigazione, spiega l'Autore, e dunque vanno nominati. Ma il WGPSN ritenne a suo tempo che non si doveva riconoscere ufficialmente tutte le formazioni lunari con lettera, in quanto ciò avrebbe sovraccaricato un compito - quello della denominazione - già scoraggiante. Infatti - aggiungo io - se si consulta oggi il Gazetteer of Planetary Nomenclature disponibile presso il sito curato dallo USGS (il Servizio Geologico nazionale degli Stati Uniti) e dall'IAU (Unione Astronomica Internazionale), sotto il nome Izsak si trovano per la Luna solo due formazioni ufficializzate:
"Izsak", diametro di 30 km, latitudine -23.3°, longitudine 117.1°, denominazione approvata nel 1970
e
"Izsak T", diametro di 14 km, latitudine -23.2°, longitudine 114.8°, denonimazione approvata nell'anno 2006
(Fonte dati: http://planetarynames.wr.usgs.gov/SearchResults)
Il primo - ovviamente - è un cratere riconosciuto e catalogato decenni addietro, mentre il secondo è il classico esempio di un cratere cosiddetto "lettered crater" o "satellite feature", caratteristica satellite di un cratere maggiore, chiamato anche cratere patronimico. Il criterio di assegnazione delle lettere romane è ben illustrato da Whitaker stesso, sia nel suo libro qui citato, sia in una pubblicazione dell'agenzia spaziale americana: NASA Catalogue of Lunar Nomenclature, risalente all'ottobre 1982 ed a firma di Leif A. Andersson, in collaborazione proprio con lo stesso Ewen A. Whitaker (NASA Reference Publication 1097). In poche parole ogni cratere patronimico è considerato al centro di un orologio suddiviso in 24 ore, in cui i numeri sono stati sostituiti da lettere dell'alfabeto romano, scritte in maiuscolo (ad eccezione delle lettere I ed O, omesse in questo criterio). In tale orologio la lettera Zeta corrisponde alla posizione delle ore 24, ad indicare la posizione Nord. La lettera M indica invece il Sud. Di conseguenza, ciascuna lettera rappresenta un prefissato azimuth (un angolo) dal cratere patronimico, ed i crateri secondari scelti sono etichettati con lettera romana secondo i loro più vicini azimuth. In alcuni casi - spiega Whitaker - quando due o più crateri si trovano lungo medesimi azimuth, alcuni compromessi sono necessari. Spiegato ciò, si può allora comprendere che - chiunque sia William Rutledge - egli ha se non altro indicato dei crateri satellite (Izsak D ed Izsak Y) che si trovano proprio nei paraggi dell'enorme oggetto sigariforme individuato nelle foto scattate da Apollo 15 ed Apollo 17. Ho realizzato una piccola mappa lunare che individua le principali caratteristiche topografiche lunari discusse sinora, dando come riferimento latitudine e longitudine del nostro satellite naturale: si veda in proposito la figura C.
FIG. C
Tutte queste riflessioni ci portano alla mia terza ipotesi di lavoro che è illustrata da un'altra bozza di mappa lunare, rappresentata dalla figura D.
FIG. D
Ulteriori conferme dell'incredibile conoscenza tecnica e storica di William Rutledge (Apollo 20 CDR, alias "retiredafb")
Ora veniamo al libro di Gene Kranz, il quale conferma l'esistenza di un misconosciuto termine tecnico usato da Rutledge - dichiarato Comandande dell'Apollo 20 - nel corso dell'intervista che mi concesse alla fine di maggio 2007. Mentre la poco nota espressione "EEcom" - uno dei numerosi termini tecnici da egli usato (si rilegga la risposta alla mia domanda numero 10 dell'intervista, capitolo I) - si trova ad esempio nel Glossario dei termini del Programma Apollo redatto da G. Kennedy (si consulti l'Apollo Lunar Surface Journal ospitato presso il sito Web della NASA http://history.nasa.gov), così non si può dire per la parola "Guido". A cosa essa si riferisce?
Ora, cercando in Rete solo recentemente (e non negli anni 2007 e 2008) sono stato in grado di trovare nei motori di ricerca di alcuni siti Web della NASA la spiegazione: il termine significa genericamente "Guidance Officer", cioè Ufficiale di Guida. Il termine si trova ad esempio presso il sito Web del Kennedy Space Center (lista degli acronimi, "NASA/KSC ACRONYM LIST", aggiornato nel febbraio 2009).
Ma il libro di memorie dell'ex Direttore di Volo della NASA - Eugene F. Kranz, per l'appunto - in proposito è molto più preciso ed illuminante: nel glossario del suo volume ("Glossary of Terms"), a pagina 395 dell'edizione in paperback del giugno 2009 (Simon & Schuster, New York, Stati Uniti) lo annovera e lo definisce come uno specialista del Centro di Controllo Missione, che si occupava della navigazione e del software, sin dalle missioni spaziali Gemini ("MCC specialist in navigation and computer software"). Tale specialista è citato anche nel libro Moon Men Return di Scott W. Carmichael - per anni dipendente della Defence Intelligence Agency ed al servizio del Dipartimento della Difesa - il quale narra del recupero degli astronauti dell'Apollo 11 da parte della portaerei USS Hornet (Capitolo 11, Return to Earth, pag. 123). Dunque William Rutledge ha usato il termine "Guido" in un contesto sostanzialmente corretto ed appropriato.
L'approfondita conoscenza dimostrata da Rutledge di concetti di volo spaziale, della relativa terminologia, e dei nomi degli operatori coinvolti nei dialoghi radio fra la navicella ed il Controllo a terra, difficilmente può essere liquidata come il risultato di un semplice studio da autodidatta, soprattutto considerando la mole di indizi e dettagli storici emersi nel contesto delle tre più importanti testimonianze, raccolte da me od emerse spontaneamente in Rete: quella dei due Comandanti delle missioni Apollo 19 e 20, e quella indiretta dell'anonimo del forum di AboveTopSecret (ATS).
Come se non bastasse William Rutledge - per indicare il lander lunare - ha quasi sempre usato nei suoi scritti l'espressione "lm", che sta per "Lunar Module", e non il ben noto acronimo LEM ("Lunar Excursion Module"), il quale fu cambiato dalla NASA durante il programma Apollo, e sostituito con "LM", anche se la pronuncia rimase la stessa. Questo è un fatto storico che io personalmente ignoravo, e dunque ancora una volta William Rutledge ha dimostrato di citare le corrette espressioni, ben contestualizzate. L'unica volta che ricordi un uso diverso (cioè LEM invece di LM, ma non nei nostri messaggi o su YouTube) è nei suoi presunti messaggi ospitati da Cyberspaceorbit del defunto Kent M. Steadman, morto nell'anno 2008 (si veda il Capitolo XIII).
Come non rilevare poi la sua conoscenza della presenza di serbatoi di elio all'interno della navicella spaziale Apollo, elio non certo usato come propellente, essendo in condizioni standard un gas nobile, inerte. Nel corso dell'intervista Rutledge ne parla in riferimento al cambiamento di valore della pressione su missioni spaziali di lunga durata (come dovevano essere l'Apollo 19 e 20), collegata ad un dispositivo di sicurezza.
Inoltre, sempre a proposito del già citato termine "EECOM", è sempre William Rutledge (cioè "retiredafb") a riportarlo secondo la dicitura ricordata da Kranz, che si discosta dal Glossario Apollo del Kennedy, ove è elencato come "ECOM Electronics Communication", mentre l'ex Direttore di Volo NASA lo riporta come "EECOM", con due lettere "E".
"EECOM" - il libro di Kranz spiega - era l'ingegnere Gemini o del CSM del programma Apollo in servizio presso il Centro di Controllo Missione e responsabile dei sistemi elettrici, ambientali, strutturali, criogenici, di comunicazione, delle celle a combustibile, ecc.
Visto il curriculum e l'esperienza decennale di Eugene F. Kranz in qualità di ex Direttore di Volo NASA ("former Flight Director, NASA"), credo proprio che il suo breve glossario dei termini in appendice al suo volume storico, sia più affidabile del glossario ospitato presso il sito Web NASA. Dunque, William Rutledge - nel resoconto della sua affascinante avventura - ha rispettato la terminologia tecnica in perfetto accordo con le memorie di un addetto ai lavori che ha fatto la storia della conquista spaziale. Difficile allora sostenere che W. Rutledge si sia inventato una colossale burla attingendo soltanto a fonti del Web.
L'aneddoto a proposito della bandiera americana dell'Apollo 17
Veniamo ora all'aneddoto da lui raccontato in merito alla bandiera americana piantata sulla Luna nel dicembre 1972 da Cernan e Schmitt dell'Apollo 17: W. Rutledge - da me interpellato e provocato per dare prova della sua identità di ex astronauta per l'USAF coinvolto in operazioni coperte sulla Luna - mi rispose ai primi di luglio del 2007 raccontando dettagli poco noti. Fra le cose che scrisse, sostenne che tale bandiera in realtà è la bandiera di riserva dell'Apollo 11, usata precedentemente da Aldrin ed Armstrong a terra, al KSC, durante il loro addestramento all'attività extraveicolare (si veda il Capitolo V). Un dettaglio storico apparentemente omesso, o poco noto alla storiografia ufficiale. Nonostante ricevetti nel 2007 per posta elettronica un'indiretta conferma da parte di un mio gentile lettore (residente nel Nordest, il quale però non fu in grado di ricordare la fonte documentale di tale sconosciuto aneddoto), fino all'anno 2010 non fui capace di trovare alcun riscontro a ciò.
Finché un giorno non mi imbattei nell'ottimo sito Web di un addetto ai lavori: l'astronomo e divulgatore britannico di nome David Darling (nato nel 1953, a Derbyshire). Egli - alla voce "Apollo 17" di "Manned Spaceflight" della sua The Internet Encyclopedia of Science - racconta che la bandiera piantata sulla Luna da Eugene Cernan e dal geologo Schmitt, <<had hung in Mission Control since Apollo 11>>, cioè era appesa al Controllo Missione sin dai tempi dell'Apollo 11.
fonte: http//www.daviddarling.info/encyclopedia/A/Apollo_17.html
Tale riferimento - pur non confermando tutti i dettagli forniti da Rutledge sulla sua origine - si avvicina abbastanza alle sue parole. L'enciclopedia di Darling è più che attendibile, in quanto egli è un affermato saggista scientifico ed il suo testo enciclopedico on-line ha come bibliografia una vasta letteratura scientifica e storica, comprendente testi di astronomia e di volo spaziale.
Fonte: Apollo 20. La rivelazione, di Luca Scantamburlo, Lulu.com, Lulu Press, Inc., USA, 2010. Tutti i diritti riservati. Riproduzione su consenso di Luca Scantamburlo (C), 2010.